Yes, you can!

Yes, you can!

Il mio primo contatto con il mondo dei freelance è stato nell’estate 2018, a Casa F. Francesca mi ha raccontato la sua storia e mi ha fatto toccare con mano cosa vuol dire lavorare da freelance, lasciandomi osservare da vicino il suo lavoro e il suo quotidiano, insegnandomi e trasmettendomi ciò che più ritiene importante. Lo scorso 21 maggio 2019, ho avuto l’opportunità di sentire un’altra storia, quella di Aurelia, traduttrice letteraria freelance ed ex studentessa del mio istituto, lo ZTW (Zentrum für Translationswissenschaft) di Vienna. Proprio allo ZTW si è infatti tenuto un incontro dal titolo “Yes, you can! Leben und Überleben als TranslatorIn in freier Wildbahn”, ovvero tecniche di sopravvivenza per liberi professionisti. Come sono il lavoro e la vita di un freelance? Come si diventa freelance? Si riesce davvero a sopravvivere? Queste le domande a cui Aurelia ha cercato di rispondere. Ma soprattutto Aurelia si è raccontata e ha parlato di come vede e vive il suo lavoro.

Studio, sogni e colpi di fortuna


Aurelia Batlogg-Windhager è originaria del Vorarlberg, la regione più occidentale dell’Austria. Ha studiato traduzione con la combinazione linguistica tedesco, inglese e russo allo ZTW di Vienna e si è laureata nel 2007. Ora lavora principalmente come traduttrice letteraria freelance, è sposata e ha due bambine. Ma cosa è successo in questi 12 anni?

Come ammette lei stessa, quando ha iniziato l’università non aveva le idee molto chiare. Fra i vari sogni ad occhi aperti c’era quello di lavorare per l’ONU a New York. La realtà: prosegue con lo studio, inizia già come studentessa ad accettare piccoli incarichi, principalmente di conoscenti. Poi arrivano due colpi di fortuna: partecipa al format austriaco di “Chi vuol essere milionario?” e vince un discreto gruzzoletto con cui può iniziare la sua attività. Poi trova in bacheca un annuncio, traduce un libro dall’inglese, l’autore è soddisfatto, la casa editrice è contenta, e così inizia tutto.

 

Freelancitudine

Il lavoro da casa: gioia e tormento! Aurelia non ha dovuto fare grossi investimenti iniziali per la sua attività e volendo può lavorare da ogni parte del mondo. Ma il vantaggio di poterlo fare va di pari passo con il rischio di doverlo fare: su Instagram posta foto dei suoi home office in giro per il mondo. Tradotto: Aurelia a volte deve ritagliarsi qualche ora di lavoro anche in vacanza, ma se le bambine sono malate può stare a casa con loro. Lavorando da casa però deve alzarsi molto presto per poter concludere alcune cose prima che il resto della famiglia si svegli e deve essere molto disciplinata per non cadere nelle varie tentazioni offerte dal suo ambiente di lavoro: il frigo, la tv, il divano… Lavora da sola, e per quanto questo abbia molti lati positivi, rimane il fatto che può contare solo sulle proprie forze, che deve assumersi da sola tutte le responsabilità, che deve gestire da sola tempo e risorse: non esistono deleghe. Una volta ha dovuto far fronte a un errore commesso e, per quanto fosse imbarazzante e difficile, ha dovuto affrontare la situazione in prima persona.

Conosci te stessa, sii te stessa, credi in te stessa

Fra gli appelli che Aurelia ci ha rivolto c’è questo: è fondamentale conoscersi, come persona e come traduttrice. Questo vale sempre, ma se si lavora come liberi professionisti diventa ancora più imprescindibile. È di grande aiuto sapere in quali momenti della giornata siamo più concentrate, è importante individuare e saper valorizzare le proprie competenze; ricordarsi dei propri successi per tenere duro nei momenti difficili, essere consapevoli del proprio valore e non svendere il proprio lavoro! Non è facile rifiutare un incarico, ma a volte è consigliabile farlo: così rimarranno quei clienti che sanno chi sei e qual è il tuo valore, che stimano la tua persona e la tua professionalità e sono disposti a pagare per questo. Bisogna rimanere professionali sempre, anche se si lavora ad un piccolo incarico, o per un conoscente, o se si è ancora all’università. E soprattutto, essere autentiche e coerenti, nella vita professionale e privata, perché il nostro migliore biglietto da visita siamo noi.

Traduttrice, ma anche e soprattutto persona


Quello che più mi ha colpito è come Aurelia concepisce il suo lavoro: non si tratta di fare la traduttrice, ma di essere traduttrice. Il suo modo di essere come persona influenza il suo modo di lavorare, così come il suo essere traduttrice si ripercuote su come lei è come persona. Lo studio del transfer linguistico e culturale conferisce una certa forma mentis: anche se smettesse di tradurre rimarrebbe “traduttrice dentro” perché ormai si è talmente abituata ad analizzare a fondo frasi e pensieri, per capire, appropriarsi dei contenuti e trasmetterli ad altri, che il suo essere traduttrice si manifesta anche nel modo in cui parla, vede e descrive il mondo. Siamo un’unità, e la formula per essere traduttori sani e felici è sforzarsi di essere persone sane e felici: per diventare buoni traduttori bisogna studiare, ma bisogna anche prendersi cura di sé, fare movimento, curare l’alimentazione, le relazioni, ritagliarsi il tempo necessario per il riposo e per i propri affetti. Una formula poco scientifica, come lei stessa riconosce, ma secondo me legittima.

Siamo tutte sulla stessa barca

Ha detto proprio così: siamo tutte sulla stessa barca. Una massima che ho già sentito dire più di una volta da Francesca e che, a quanto pare, viene condivisa anche dalle colleghe d’oltralpe. I compagni all’università e i colleghi, non sono concorrenti o “quelli che ci rubano il lavoro”. Sono quelle persone che ci passeranno gli incarichi che non riescono ad accettare (e succede più spesso di quanto si possa immaginare), alle quali ci potremo rivolgere per una revisione, un punto di vista, un consiglio. Per questo è importante fare networking, magari iscrivendosi a un’associazione di categoria. E se i colleghi più esperti di UNIVERSITAS (l’associazione austriaca per interpreti e traduttori) dicono che con meno di 1,80 € a Normzeile (55 caratteri spazi inclusi) non si sbarca il lunario, fidatevi!

Work hard and be nice to people

Non è vero che non c’è lavoro. A quanto pare anche Aurelia si è sentita dire che il mercato è saturo, che ci sono sempre meno incarichi, che non si sopravvive di sola traduzione. Certo, bisogna lavorare duro ed essere intraprendenti: essere freelance vuol dire avere molte responsabilità sulle spalle. Però il lavoro c’è ed esistono ancora i clienti che sanno apprezzare la qualità e professionalità, che sanno vedere il valore di un prodotto – meglio: di un servizio – fatto non da una macchina, ma da una persona, che ci mette la faccia e si dimostra degna di fiducia. Ama il suo lavoro e ci incoraggia a fare altrettanto: “lavoro molto, ma lo faccio molto volentieri. Amate anche voi ciò che fate e trasmette questo entusiasmo anche quando parlate della vostra professione. E lavorate su voi stesse, anche se siete ancora all’università.”

Ho apprezzato molto l’approccio di Aurelia: schietto, semplice e molto umano. Condivido la sua visione olistica di se stessa come persona e traduttrice, aspetti inscindibili che la rendono ciò che è: ognuno di noi ha una storia molto personale, ma ci sono elementi comuni che servono per avere successo lavorativo e per stare bene come persona.

Grazie Aurelia!

 

 

Servus, sono Giulia! Sono nata a Modena, ma per studiare mi sono spostata prima dall’Emilia alla Romagna, poi in Slovacchia e infine in Austria. Ora sono a Vienna, dove mi specializzo in traduzione. Dalla foto non si vede, ma porto gli occhiali. Ne ho cinque, un paio per ogni lingua che conosco, e che alterno per guardare il mondo con lenti diverse.