Tirocinio? La versione di Giulia

Premessa: Giulia ed io abbiamo scritto i nostri due post in autonomia, senza confrontarci sugli argomenti e sulle cose da dire. I due articoli risultano però molto simili, ma non è una casualità! Significa che entrambe abbiamo vissuto questa esperienza con gli stessi occhi – meno male! Buona lettura.

“Tirocinio?” Questo l’oggetto della mail che ho inviato a Francesca, il 13 giugno.

Avevo trovato il suo sito quasi per caso. O meglio: l’imperscrutabile algoritmo di Google me l’aveva proposto come risultato alla mia ricerca “traduttrice freelance + Modena”. Quando ho scritto la famosa e-mail avevo un po’ di paura, tante domande e due certezze: sapevo che il tempo stringeva e immaginavo che, per una freelance, avere una tirocinante dovesse essere un gran seccatura.

Però mi piaceva il modo in cui questa Francesca Manicardi si rivolgeva ai visitatori del suo sito. Mi incuriosiva il suo mix di attività e di progetti. Mi rassicurava sapere che aveva familiarità con il ruolo di insegnante e mi stuzzicava l’idea di capire, finalmente, come lavora un’interprete e traduttrice freelance. Per cui mi sono detta: perché non provare. Al limite non mi risponderà, o mi dirà di no. Invece la risposta è arrivata, e non diceva di no.

Io ero ancora a Vienna e Francesca era in partenza per Cuba. Per cui abbiamo rimandato e ne abbiamo parlato direttamente di persona, a Modena, di fronte a un tè (lei) e a un caffè (io). Abbiamo parlato per quasi due ore e quando siamo andate via i punti fondamentali erano già stati definiti.

Il 30 di luglio, tesa come una molla, ho suonato al campanello di casa F.

 

Cosa programmata si farà (forse)

La prima cosa che ho imparato sul mondo dei freelance è che bisogna programmare, programmare, programmare. Ma anche essere flessibili: l’imprevisto è sempre in agguato!

Ho visto con i miei occhi Francesca programmare il lavoro, gli impegni, gli spostamenti, coordinare progetti ed eventuali collaboratori, conciliare i suoi impegni di lavoro con gli impegni e le necessità della sua famiglia, le sue scadenze e i suoi obiettivi con i miei e con i momenti dedicati alla mia formazione. Il tutto su carta, su Excel, su prospetti maturati con l’esperienza e a volte un po’ inquietanti, che in alcuni casi arrivano fino a settembre 2019.

Io, dall’altra parte del tavolo, ero già messa in difficoltà dal dover gestire gli incarichi del tirocinio e la scrittura di una tesina prima e la preparazione di un esame poi. Io che di natura tendo a vivere alla giornata e a fare una cosa per volta, in certi momenti mi sono sentita persa e scoraggiata. Mi frenavano soprattutto la paura di sbagliare, una buona dose di perfezionismo, il non riuscire a quantificare il tempo necessario e la tendenza a bloccarmi quando qualcosa sembra troppo difficile per me. Penso di essere un po’ migliorata. Ho dovuto! Abbiamo creato su Google Drive un enorme file condiviso rinominato “THE BRAIN”, in cui gestire il calendario, le cose da fare, le cose da recuperare, le scadenze, eccetera. Ovviamente non sono mancati i cambi di programma e le inversioni di rotta. Nemmeno i problemi tecnici: abbiamo litigato con Trados e Francesca ha tribolato a lungo con un wi-fi che non funziona e mi ha fatto una dimostrazione dal vivo di problem solving, che include tentativi fai-da-te, chiamate con tecnici e operatori, reclami, un cambio di gestore e un trasferimento improvviso a casa di nonna M!

Conosci te stessa

Un consiglio che vale in generale, ma ancora di più se si lavora da freelance. Un consiglio che mi è stato ripetuto più volte, sotto varie forme: “Per fare questa cosa non sprecare il momento in cui sei più produttiva”. “Pensa realisticamente a quando puoi lavorarci e poi suddividi il carico di lavoro di conseguenza”. “Tu cosa vuoi fare?”. Siccome le cose da fare sono tante e di vario tipo, è fondamentale essere consapevoli del proprio ritmo, delle proprie capacità e delle proprie aspirazioni. Sapere in quale momento della giornata e in che condizioni la nostra produttività à al massimo può fare un’enorme differenza. Conoscere il proprio ritmo è la base della programmazione. Riconoscere i propri limiti è il primo passo per capire quando è il momento di chiedere un parere o un aiuto, quando è il momento di fare un corso di aggiornamento, quando è il momento di fare una pausa. Come dice Francesca, i sogni non devono prendere polvere. Bisogna tirarli fuori dal cassetto e impegnarsi perché diventino progetti. Rimanendo sempre vigili, nel caso si aprano porte a cui noi non pensavamo.

Non traduciamo solo parole

Una volta un professore ci disse: noi non traduciamo parole, traduciamo mondi. Forse non lo disse esattamente così, ma il concetto era quello. Durante il tirocinio ho ripensato spesso a questa frase. Traducendo i curricula mi sono immersa nella vita di un’altra persona. E dietro ogni parola c’era un iceberg sommerso di cose non dette, un pezzo di vita vissuta, esperienze a volte a me lontane. Dietro a ogni testo si nascondevano obiettivi e speranze. Quando ho tradotto il brevetto mi sono immersa in un mondo a me incomprensibile. Ho dovuto far miei concetti di chimica e fisica; mi sono dovuta adeguare a un mondo dove le norme stilistiche sono strane e decisamente poco eleganti; mi sono dovuta mettere nei panni di un ingegnere e cercare di capire le sue necessità – e la sua invenzione! In quei panni stavo scomoda, erano stretti e pizzicavano. Ho fatto molta fatica, mi sono sentita frustrata, mi sono arrabbiata e ho pianto. Quando è stato il turno del manuale di istruzioni per un apparecchio elettromedicale, il mio grado di frustrazione è aumentato. Ho dovuto dire a Francesca che non ero riuscita. Ha sorriso. A quanto pare la frustrazione è comune. Si può ridurre cercando di conoscere il più possibile il mondo in cui stiamo per immergerci, quindi specializzandoci in un certo settore. Individuando un mondo che pensiamo ci possa piacere, in cui ci sentiamo a nostro agio. Ma dobbiamo comunque essere pronti a tenere duro, a essere umili, a chiedere aiuto.

 

Tradurre è come fare pentathlon

Come se il duello con il testo da tradurre non bastasse, ho scoperto che se si traduce da freelance le discipline in cui bisogna eccellere sono molte.

Intanto nella preparazione del preventivo, che bisogna imparare a fare, che porta via molto tempo e che comunque non assicura l’incarico. La preparazione del sovrascrivibile! Ho imparato a mie spese, sbagliando ogni volta, che dedicare tempo alla preparazione di un file pensato per essere importato in un CAT-tool ripaga. Controllare le andate a capo, nascondere il testo che non vogliamo entri in memoria, verificare che non ci siano refusi… Poi arriva il momento della traduzione vera e propria. Contemporaneamente va redatto un glossario, si fa ricerca, si litiga con il CAT-tool di turno, magari si contatta il cliente per chiedere chiarimenti, conferme, modifiche. Si passa alla preparazione del file target, fase delicatissima, come ho capito nel momento in cui Trados si rifiutava di esportare un file da me faticosamente tradotto. Infine bisogna consegnare, fare la fattura, archiviare il materiale in modo ordinato in vista di futuri incarichi.

Francesca mi ha fatto vedere come prepara i preventivi, le fatture, come organizza i file sul suo computer. Mi ha fatto vedere come fa il back up, mi ha mostrato come e con quali strumenti – e saremmo in realtà alla sesta disciplina! – promuove la sua attività.

In tutto questo la traduttrice è un atleta, in gara contro tutti, ma prima di tutto in continua sfida con se stessa.

Non si finisce mai di sbagliare

Fratello dell’imprevisto, anche l’errore è sempre in agguato. Bisogna prenderne atto. Francesca mi ha raccontato alcuni errori che ha fatto quando era agli inizi per evitare che li faccia anche io. Mi ha fatto anche vedere come ne ha fatto tesoro, concretamente, spiegandomi a quale errore passato sono legate alcune accortezze che ora ha adottato, nel definire ad esempio le condizioni di incarico, o nel decidere se accettare o no un lavoro. Purtroppo questo non mi mette al riparo da tutti gli errori futuri, ma di certo è un privilegio che non tutti hanno avuto. Per tutto il resto: “Sbaglia con la tua testa”.

Jump!

Soprattutto se si lavora da freelance, serve spirito di iniziativa, disponibilità a mettersi in gioco e a buttarsi, anche se si ha paura. Se non fosse disposta a rischiare forse Francesca non sarebbe interprete + traduttrice + insegnante + copywriter + mentore, e di sicuro non avrebbe accettato di farmi fare il tirocinio da lei. Mi ha sorpreso sapere che la notte prima che iniziassi il tirocinio non aveva chiuso occhio. Ho pensato a me, che avevo tanto sperato rispondesse alla mia e-mail e poi, il giorno prima di incontrarla, ero tesissima e avrei voluto annullare tutto. La paura rimane, a quanto pare, l’esperienza non la sostituisce. Anche se la sua presenza ci infastidisce dobbiamo, in un certo senso, farci amicizia e imparare a conviverci.

Alla fine di questo percorso Francesca mi ha chiesto: “Allora, vuoi fare la freelance?”.

La domanda da un milione di dollari che forse anche voi vorreste farmi. La risposta più sincera è che non lo so ancora. Ci sono aspetti del mio carattere che mi sembrano incompatibili, o che forse devono ancora essere limati. Ci sono aspetti del lavoro da freelance che mi allettano, altri che mi spaventano. Forse non subito, ma fra qualche anno mi piacerebbe provarci.

L’opportunità che ho avuto di osservare da vicino Francesca nel suo lavoro, in molte sue sfaccettature è stata molto preziosa per me: l’ho vista in veste di traduttrice, insegnante, interprete, esperta di marketing. L’ho vista arrabbiata, soddisfatta, stanca, amareggiata, felice e spaventata insieme. Siamo andate in trasferta in bicicletta a fare lezione di inglese e ho conosciuto gran parte della sua famiglia. Di sicuro in questi due mesi passati a casa F ho imparato molto, e questo mi aiuterà in futuro, che io faccia la freelance oppure no.

Sono grata a Francesca perché mi ha raccontato episodi della sua vita, lavorativi e non, che potevano essermi utili come esempio. Perché si è ritagliata il tempo per insegnarmi e per darmi un feedback, perché ha condiviso con me informazioni, scoperte e trucchi. Perché mi ha messa in guardia verso certi errori e non si è arrabbiata con me quando ne ho fatti. Perché mi ha coccolata, fra le altre cose, con tè e dolcetti. Ma soprattutto perché mi ha aperto la porta, quella di casa sua, e quella del suo mondo.

Servus, sono Giulia! Sono nata a Modena, ma per studiare mi sono spostata prima dall’Emilia alla Romagna, poi in Slovacchia e infine in Austria. Ora sono a Vienna, dove mi specializzo in traduzione. Dalla foto non si vede, ma porto gli occhiali. Ne ho cinque, un paio per ogni lingua che conosco, e che alterno per guardare il mondo con lenti diverse.